Cinque gennaio 1941, Oceano Atlantico, tra le isole Canarie e le coste africane. Quando i superstiti britannici del piroscafo armato Shakespeare, appena affondato dopo un furioso duello di artiglieria insieme con 19 loro compagni, vedono la minacciosa sagoma del sommergibile nemico puntare contro la loro lancia di salvataggio, rimangono sconcertati. Qualcosa di incredibile sta accadendo: l’ufficiale in piedi sul ponte si rivolge loro, in un inglese un po’ legnoso ma corretto, e li invita a salire a bordo. Le loro vite sono salve: ora sanno di essersi imbattuti nel Gentiluomo del mare, del quale nelle ultime settimane hanno parlato tutti i giornali d’Europa. Quel giovane capitano di corvetta, dallo sguardo magnetico e indagatore, col mento ornato di una folta barba scura, è Salvatore Todaro, un uomo in grado di sovvertire a modo suo le bestiali leggi della guerra. La sua singolare vicenda è iniziata qualche mese prima, poco dopo lo scoppio del conflitto,
quando ha ottenuto il comando del regio sommergibile Comandante Cappellini ed è stato destinato alla base atlantica Betasom, a Bordeaux, per affiancare gli U-boat tedeschi nella caccia ai convogli alleati.
Todaro ha appena 32 anni, ma chi lo conosce bene lo descrive come una sorta di asceta, un sacerdote la cui religione ha per tempio il mare. Altri lo vedono piuttosto come un antico guerriero spartano: solitario, persino schivo, dal portamento fiero e l’andatura rigida. In realtà ciò è dovuto al busto, necessario dopo una frattura alla colonna vertebrale rimediata su un idrovolante. Di sicuro, Todaro è un personaggio atipico: colto, interessato alla filosofia e alla letteratura antica ma anche alla matematica e all’astronomia, è affascinato dalla psicanalisi e, in particolare, alle teorie di Jung sull’inconscio collettivo. Ciò contribuisce a creare attorno a lui un’aura di mistero, enfatizzata da una certa qual predisposizione a un’istrionica teatralità. I suoi uomini comunque lo adorano, così come ammirano incondizionatamente le sue carismatiche doti di autentico capo. Il 13 ottobre 1940 il Cappellini intercetta un piroscafo iugoslavo, ispezionato per verificare la natura del carico.
Due giorni più tardi, al largo dell’isola di Madera, Todaro individua un piroscafo armato belga il Kabalo, che sta trasportando pezzi di ricambio aeronautici per gli inglesi e subito apre il fuoco. A conferma della sua originale visione della guerra, il giovane comandante odia l’uso dei siluri, da lui reputati infidi e poco onorevoli: così, decide di attaccare il cargo a cannonate, riuscendo ad affondarlo in pochi minuti. Poi impartisce l’ordine di soccorrere i 26 naufraghi della nave: prende a rimorchio la loro lancia di salvataggio e, navigando in emersione, esposto a eventuali attacchi aerei, li traina per tre giorni e tre notti. Quando il cavo di rimorchio si spezza per l’ennesima volta, Todaro compie un gesto inaudito, facendo salire a bordo i naufraghi, per portarli, sani e salvi, sull’isola di Santa Maria, nell’arcipelago neutrale delle Azzorre. La notizia si diffonde in pochi giorni e le testate giornalistiche fanno a gara nel raccontare l’incredibile storia di questo cavaliere d’altri tempi. L’ammiragliato italiano riceve perfino lettere di ammirazione e di ringraziamento dai congiunti di alcuni sopravvissuti, ma su tutte spicca una missiva inviata da una donna portoghese tramite canali diplomatici e pubblicata da un quotidiano di Lisbona. Oggi può forse parere retorica, ma tocca comunque il cuore: «Vorrei che queste righe fossero trasmesse al comandante del sommergibile italiano che ha affondato la nave Kabalo. Signore, felice il Paese che ha dei figli come voi! I nostri giornali danno il resoconto di come avete agito nei confronti dell’equipaggio di una nave che il vostro dovere di soldato vi aveva imposto di affondare. Esiste un eroismo barbaro e un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio: questo è il vostro! Siate benedetto per la vostra bontà, che fa di voi un eroe non solo dell’Italia, ma dell’umanità».
Il generoso comportamento di Todaro non viene però apprezzato dal comandante in capo dei sommergibili tedeschi, l’ammiraglio Karl Dönitz, che lo critica severamente rivolgendosi ad alcuni alti ufficiali italiani: “Signori, io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Il commento di Todaro è ben poco diplomatico, ma per certo memorabile: «Per un attimo anch’io ho pensato di far prevalere le ragioni della guerra, ma ho sentito alitare dietro di me qualcosa che altri non possono sentire: il soffio di duemila anni di civiltà». Incurante delle critiche e dei moniti dei suoi superiori (tuttavia, ammirandolo, lo insigniscono della medaglia d’argento al valor militare), il comandante ritorna a far parlare di sé il 5 gennaio 1941, quando attacca, sempre a cannonate, il piroscafo armato inglese Shakespeare, di 5029 tonnellate. Durante il combattimento un marinaio del Cappellini muore a causa della violenta reazione avversaria, ma ciò non impedisce a Todaro di raccogliere i 22 superstiti e di portarli in salvo sull’isola di Capo Verde.
Il fato, tuttavia, sta preparando un amaro calice: la crociera del Cappellini prosegue infatti al largo di Freetown, in Sierra Leone, quando il sommergibile si imbatte in un grosso trasporto truppe britannico pesantemente armato, l’Emmaus di 7472 tonnellate, col quale ingaggia uno scontro all’ultimo sangue. Todaro questa volta deve lanciare due siluri per finire l’unità avversaria, che cola a picco con tutti gli uomini a bordo. Durante lo scontro un proiettile ha centrato la torretta del Cappellini, ferendo fatalmente il tenente Danilo Stiepovich. A bordo si contano altri morti e feriti gravi e nel frattempo sul posto è piombato un idrovolante inglese, che colpisce l’unità italiana con due bombe. Todaro non può fare nulla per i naufraghi: braccato, ferito, il sommergibile deve eludere il nemico acquattandosi sul fondo dell’Oceano per due giorni e due notti, al buio, sotto milioni di tonnellate di gelida acqua. Alla fine, dopo un’autentica odissea, ripara nel porto neutrale spagnolo di La Luz, a Gran Canaria, dove arriva il 20 gennaio. Todaro riesce a sbarcare i feriti e a far riparare alla meglio i danni più gravi, per poi riprendere il mare e rientrare a Bordeaux, dopo aver eluso ben cinque navi inglesi.
Il comando congiunto italo-tedesco questa volta si complimenta con lui, lo insignisce di un’altra medaglia, ma qualcosa dentro gli si è rotto per sempre. Dopo due altre sfortunate crociere atlantiche, sfibrato dal rimorso per tutte quelle vite spezzate, Todaro chiede e ottiene di essere trasferito alla decima Flottiglia MAS. Qui si coprirà ancora di gloria, rischiando sempre in prima persona; ma ormai è diventato un guerriero solitario e disilluso. Il mattino del 13 dicembre 1942, nel porticciolo tunisino di La Galite, da dove sta pianificando una serie di ardite missioni notturne contro la base navale alleata di Bona, uno Spitfire inglese in volo radente mitraglia la piccola imbarcazione sulla quale Todaro sta riposando. I suoi uomini lo trovano sdraiato in cuccetta, con una scheggia conficcata in una tempia. Sembra addormentato, ma il Gentiluomo del mare se ne è andato per sempre. Il giorno prima, in una lettera a un amico e compagno d’armi aveva scritto: «Da mesi e mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare. Penso che il mio posto sia con loro». Gli algidi dèi del mare lo hanno voluto accontentare; ma forse Graziella Marina, la figlia nata quello stesso giorno, quegli dèi non li ha perdonati mai.
Testo di Fabio Bourbon, pubblicato sul numero 84 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 19 Ottobre 2020 da admin | in Personaggi, Storie | commenti: 1
Conosco il comandante Todaro e ogni qualvolta più o meno consapevolmente rileggo le sue gesta sono colpito come se fosse la prima volta da un moto dell’anima che mi fa liberare leggero leggero nell’aere per ironia proprio per mani di un marinaio.