Per chi sente irresistibile il richiamo del Grande Nord, le isole Svalbard vanno viste almeno una volta nella vita. Questo remoto arcipelago del Mar Glaciale Artico, posto a cavallo dell’ottantesimo parallelo nord e a mille chilometri dal Polo, è uno dei luoghi più solitari e inaccessibili dell’emisfero boreale. Soprattutto, è uno dei pochi posti al mondo in cui gli uomini hanno lasciato scarse tracce del proprio passaggio: gran parte del territorio, per lo più coperto da ghiacciai perenni, si trova ancora allo stato primordiale. Scoperte nel 1596, dal XVII secolo, le Svalbard furono utilizzate come basi per la caccia alla balena fino ai primi del Novecento, quando sull’isola principale, Spitsbergen, vennero individuati giacimenti di carbone. L’evento portò alla fondazione di alcuni centri abitati e al nascere di controversie economiche e politiche; la sovranità norvegese venne infine riconosciuta nel 1920, allorché fu stipulato il Trattato delle Svalbard, un documento che estese alle 40 nazioni firmatarie il diritto di sfruttamento delle risorse naturali e sancì la demilitarizzazione dell’arcipelago. Ancora oggi sono amministrate da un governatore norvegese, il Sysselmann, il cui ufficio è situato nel centro abitato più popoloso, Longyearbyen. Giungendovi dal mare, il villaggio appare come un’ultima Thule, mentre l’arrivo in aereo è un evento indimenticabile: la pista, infatti, è situata lungo una striscia di terreno compresa tra le gelide acque dell’Isfjorden e le ripide pareti rocciose retrostanti. Fin dal primo colpo d’occhio ci si rende conto che Longyearbyen è davvero l’ultima frontiera: una manciata di casette multicolori, sparse in mezzo a un paesaggio lunare.
Duemila abitanti e 200 auto, che a disposizione hanno una cinquantina di chilometri di strade sterrate, per lo più dirette agli impianti estrattivi; per questa ragione, qui, il mezzo più usato è la motoslitta. All’ingresso dei pochi negozi, degli uffici, dell’ospedale e degli altri luoghi pubblici è onnipresente un cartello: depositare le armi. Gli orsi bianchi infatti sono molto più numerosi degli umani e non capita di rado vederne in città. Guardandosi attorno è difficile immaginare che circa 50 chilometri più a nord possa esistere un luogo ancora più alieno, ma è così. Dopo gli entusiasmi iniziali, ci si rese conto che lo sfruttamento delle miniere in condizioni così avverse (qui, ad agosto, la temperatura media è di 4 gradi, in inverno si aggira sui -17 gradi) era davvero arduo e ben presto quasi tutti gettarono la spugna. Non così i sovietici, che sul finire degli anni Venti rilevarono da due società carbonifere, una olandese e l’altra svedese, gli insediamenti cui diedero il nome di Barentsburg e Pyramiden. Mentre il primo è ancora oggi operativo e popolato da circa 450 minatori russi e ucraini, il secondo villaggio venne abbandonato nel 1998.
A Pyramiden ci si può arrivare solo in barca, lungo l’Isfjorden e quindi il Billefjorden, un braccio di mare dalle acque livide che si insinua, rinserrato tra catene montuose dall’aspetto minaccioso, fino alla testata dell’immenso ghiacciaio di Nordenskjøldbree; l’alternativa è un impegnativo trekking nel mezzo di un territorio ostile e popolato di orsi, ma dalla bellezza mozzafiato. A questa latitudine il sole di mezzanotte dura da aprile a fine agosto, senza oltrepassare mai i 35 gradi sopra l’orizzonte: la luce di questo eterno tramonto è surreale, soprattutto quando infiamma la cima del monte che, con la sua forma, ha dato il nome all’insediamento. Pyramiden, è una città fantasma senza eguali sulla Terra: imbacuccati in abiti pesanti, sferzati da un vento onnipresente, si cammina tra abitazioni e strutture apparentemente piovute dal cielo, mentre tutto attorno gli impianti minerari in disuso si inerpicano sui fianchi della montagna.
Il degrado è tangibile ovunque: le scritte in cirillico, un tempo sgargianti, cominciano a sbiadire, mentre i condominii a due o tre piani osservano i pochi visitatori con le loro teorie di orbite vuote. Solo le casette rivestite in legno, nello stile tipico siberiano, hanno un aspetto ancora accogliente. Per il resto, l’abitato è di una desolazione indicibile e al contempo poetica, con le costruzioni divenute nidi per i chiassosi gabbiani artici; la statua di Lenin, la più a nord del mondo, veglia sul grande prato centrale, il più a nord del mondo, che fu realizzato portando dalla Madre Russia terra e semi di un’erba pazientemente accudita per anni. Le autorità russe cercarono di assicurare per quanto possibile il benessere degli oltre 1200 residenti, ossia i minatori, gli operai e le loro famiglie: Pyramiden, a differenza degli insediamenti norvegesi di Longyearbyen, Sveagruva e Ny-Ålesund, sembra una vera cittadina in miniatura, dotata di un razionale piano urbanistico e di molti comfort. In base ai dettami dello stile di vita sovietico, vennero costruiti una scuola, una biblioteca, un centro culturale con cinema, un campo da calcio intitolato a Yuri Gagarin e un palazzetto dello sport con piscina, oggi desolatamente asciutta. Gli impianti estrattivi e la città erano gestiti dalla società mineraria Arktikugol, che nella primavera del 1998 cessò ogni attività.
Ufficialmente a causa dei profitti ormai troppo bassi, ma, in realtà, la piccola comunità era stata messa in ginocchio da un terribile incidente aereo accaduto due anni prima, quando un aereo proveniente da Mosca e con a bordo 130 minatori e i loro famigliari, si era schiantato nei pressi di Longyearbyen. La città fu evacuata molto velocemente, lasciando nelle case e negli altri edifici tutti gli arredi, le suppellettili e perfino molti effetti personali; nell’auditorium si può vedere un pianoforte, un Ottobre Rosso (il più a nord del mondo), che pare essere stato abbandonato nel bel mezzo di un concerto. Aggirarsi tra le strutture è un’esperienza impressionante, quasi si fosse i testimoni di una catastrofe su larga scala. Il freddo estremo e le particolari condizioni ambientali sono ideali per la conservazione dei manufatti; probabilmente Pyramiden sarà ancora riconoscibile fra cinquecento anni. Di recente, sul posto si sono ristabiliti una decina di russi provenienti da Barentsburg, il cui intento è quello di rendere il luogo un’attrazione turistica; tuttavia, le condizioni estreme delle Svalbard (tra cui la frequente presenza di orsi polari) lasciano supporre si tratti di un’intenzione quanto mai velleitaria. Oggi Pyramiden giace silente sulla baia di Adolfbukta come un monumento alla sfida umana contro l’ostilità del Grande Nord.
Testo di Fabio Bourbon, pubblicato sul numero 74 di Arte Navale. Su gentile concessione della rivista Arte Navale. Le immagini sono pubblicate su gentile concessione della rivista Arte Navale. E’ fatto divieto per chiunque di riprodurre da mareonline.it qualsiasi immagine se non previa autorizzazione direttamente espressa dall’autore delle immagini al quale spettano tutte le facoltà accordate dalla legge sul diritto d’autore, quali i diritti di utilizzazione economica e quelli morali.
pubblicato il 18 Novembre 2020 da admin | in Viaggi & Rotte nel mondo | tag: Arktikugol, Isfjorden, Isole Svalbard, Longyearbyen, Sysselmann | commenti: 0